Partiamo dal fatto che quella dei led (acronimo di Light Emitting Diode) è una tecnolgia che sfrutta la naturale emissione di fotoni, da parte di un semiconduttore dentro cui passa corrente. Come impone  la legge fisica, che regola la trasmissione di elettricità,  è necessario che il componente sia caratterizzato da due elementi con caretteristiche elettriche opposte presenti in una sorta di giunzione. Tanto più l’attività degli elettroni è consistente, tanto più questo elemento di giunzione tende a riscaldarsi e viceversa.

Sempre per effetto di leggi fisiche, che qui non stiamo ad approfondire, la potenza dell’effetto di illuminazione, che possiamo definire in watt, è più consistente tanto più intensa è la corrente (misurata in Ampere) che attraversa il corpo illuminante. In sostanza l’effetto luminoso di un led viene ottimizzato spingendo al massimo possibile gli Ampere e tenendo al minimo possibile il voltaggio, una operazione che sfrutta al meglio le caratteristiche del semiconduttore, principalmente silicio, che emette fotoni pur con tensioni molto basse. Da qui nasce il forte risparmio energetico delle lampadine a led.

Tutta questa operazione che abbiamo cercato di sintetizzare in modo molto elementare, al fine di renderla comprensibile a chiunque, è regolata da un elemento di stabilizzazione e controllo, che nella lampadina a led viene identificato con il nome di driver. In realtà si tratta di un microchip elettronico che dialoga con il led e con l’energia proveniente dall’esterno. Come tutti gli elementi composti da elettronica, il drive è molto sensibile al calore.

Qui nasce, dunque, il dilemma, che è quello di offrire al corpo illuminante la massima potenza aumentando l’emissione di calore a sfavore del drive, oppure di ridurre gli effetti dell’illuminazione preservando al massimo il microchip. Una equazione non facile, che caratterizza la qualità del prodotto.

Questo passaggio è molto importante, perchè il drive è la parte più delicata di una lampadina a led e se gli accorgimenti per preservarlo non vengono messi in atto, pur sfruttando al massimo il led, si ottiene un unico effetto certo: la lampada rende pochissimo e si guasta in breve tempo, anche se il costruttore la garantisce per 50.000 ore.

E’ qui che entrano in gioco i diffusori di calore, che sono elementi più o meno visibili ma essenziali in ogni lampada a led.

Sul mercato, come detto, troviamo di tutto anche diffusori di calore in plastica, perchè pur di vendere a basso prezzo ci si inventa di tutto.

In realtà i diffusori di calore devono essere inesorabilmente in alluminio. Per le lampadine da casa, diciamo le normali E27 o E14 con attacco Edison (a vite), lo stesso involucro che sostiene il bulbo, se in alluminio, può egregiamente svolgere la sua funzione di diffusione. Quando però saliamo di wattaggio, allora è necessario che i diffusori assumano connotazioni proprie, ancor più evidenti, spesso servendosi di alette per liberare meglio e più omogeneamente gli effetti della corrente. Un buon elemento a led può essere tenuto tranquillamente in mano, senza scottarsi le dita, anche dopo ore di accensione continua.

Fonte dell’articolo: Progema

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